Impronte di un maschio sulla neve
Gallo cedrone
Il gallo cedrone (Tetrao urogallus) è uno degli uccelli più imponenti e affascinanti delle foreste montane europee. Vive principalmente nei boschi di conifere, tra i 1.000 e i 2.000 metri di quota, dove trova rifugio e nutrimento. È un animale schivo e solitario, difficile da osservare, simbolo del selvatico e della purezza degli ambienti montani.
Il maschio, chiamato anche “gallo”, può superare i 4 chili di peso e presenta un piumaggio scuro con riflessi metallici blu-verdi sul petto, coda ampia e arrotondata e una caratteristica macchia rossa sopra l’occhio, che si evidenzia durante le parate amorose. La femmina, detta “gallina”, è invece molto più piccola e di colore bruno mimetico, perfettamente adattata a confondersi tra il fogliame e i tronchi del sottobosco.
Durante la primavera, il gallo cedrone mette in scena uno degli spettacoli più suggestivi della natura alpina: il canto e la parata nuziale. All’alba, nel cuore del bosco, il maschio si posiziona su un albero o in una radura e intona il suo canto inconfondibile, un susseguirsi di suoni ritmici che culminano con il celebre “pop”, simile allo stappo di una bottiglia. Il canto completo è una sequenza di note che inizia con un ritmo crescente “tic-ap, tic-ap, tic-ap”, seguito da una serie di suoni metallici e infine dal “pop” conclusivo, accompagnato da sibili e fruscii appena percettibili. Mentre canta, il gallo gonfia il petto, apre la coda e compie movimenti rituali per conquistare le femmine e difendere il proprio territorio da altri maschi. La femmina, più discreta, emette invece un verso breve e gutturale, descritto come un “co co” sommesso, che utilizza per mantenere il contatto con i pulcini o con il maschio durante la stagione riproduttiva.
Il gallo cedrone si nutre di germogli, bacche, aghi di pino, foglie e insetti, adattando la dieta alle stagioni. In inverno sopravvive grazie agli aghi delle conifere, mentre in estate si alimenta anche di frutti e piccoli invertebrati. Le femmine nidificano a terra e allevano da sole i pulcini, che fin dai primi giorni sono in grado di seguire la madre nel fitto del bosco.
In Italia, il gallo cedrone è presente in modo frammentato sulle Alpi, soprattutto nei settori centro-orientali, e con nuclei più limitati sull’Appennino settentrionale. La sua sopravvivenza dipende dalla conservazione dei boschi maturi di conifere, ambienti delicati e sempre più rari, che rappresentano il cuore del suo regno silenzioso.
Canto maschio e femmina
Nel regno del gallo cedrone
Tutto è iniziato nel maggio del 2013, quando un amico mi parlò di un bosco abitato dal gallo cedrone. Durante le sue escursioni gli era capitato più volte di intravederlo, sempre di sfuggita. Per me fu l’occasione che aspettavo da anni, e non potevo certo lasciarmela sfuggire. Coinvolsi subito Ivan, compagno di tante scorribande fotografiche, e decidemmo di unire le forze.
Non sapevamo quasi nulla su questo straordinario uccello, anzi, direi che non avevamo nemmeno idea da dove cominciare. Ma una cosa non ci mancava: la passione e la determinazione. La prima tappa fu la libreria: serviva documentarci, almeno per avere un’infarinatura teorica. Poi arrivò il turno del web, fonte inesauribile di informazioni: qui trovammo una relazione del Parco Naturale Adamello Brenta che raccontava anni di ricerche e osservazioni sul gallo cedrone. Sembrava la guida perfetta per il nostro progetto.
Ben presto, però, ci rendemmo conto che la realtà era molto più complessa di quanto immaginassimo. Quello che sulla carta sembrava un piano semplice, sul campo si sarebbe rivelato un’avventura fatta di attese, scoperte e tante sorprese.
La ricerca (2013 - 2014)
Tutto è iniziato nel maggio del 2013, quando un amico mi parlò di un bosco abitato dal gallo cedrone. Durante le sue escursioni gli era capitato più volte di intravederlo, sempre di sfuggita. Per me fu l’occasione che aspettavo da anni, e non potevo certo lasciarmela sfuggire. Coinvolsi subito Ivan, compagno di tante scorribande fotografiche, e decidemmo di unire le forze.
Non sapevamo quasi nulla su questo straordinario uccello, anzi, direi che non avevamo nemmeno idea da dove cominciare. Ma una cosa non ci mancava: la passione e la determinazione. La prima tappa fu la libreria: serviva documentarci, almeno per avere un’infarinatura teorica. Poi arrivò il turno del web, fonte inesauribile di informazioni: qui trovammo una relazione del Parco Naturale Adamello Brenta che raccontava anni di ricerche e osservazioni sul gallo cedrone. Sembrava la guida perfetta per il nostro progetto.
Ben presto, però, ci rendemmo conto che la realtà era molto più complessa di quanto immaginassimo. Quello che sulla carta sembrava un piano semplice, sul campo si sarebbe rivelato un’avventura fatta di attese, scoperte e tante sorprese.
La ricerca (2013 - 2014)
Già a luglio iniziamo a frequentare quel bosco. La prossima primavera, quando la ricerca si intensificherà, dovremo muoverci di notte: è quindi fondamentale conoscere bene l’ambiente e provare tutte le vie d’accesso, sapendo che la neve non mancherà. Ogni uscita diventa un’occasione per cercare segni della presenza del gallo cedrone, soprattutto escrementi. Ci muoviamo con il GPS per tracciare i percorsi e studiare le strategie delle uscite successive.
Con l’arrivo dell’inverno giungono anche le prime nevicate. La neve è abbondante, forse troppo: ci costringe a due ore di cammino solo per raggiungere la zona di ricerca. E il gallo cedrone? Lui c’è, anche se non si vede e non si sente. Lo testimoniano gli escrementi e le piste, sempre nella stessa area ormai da mesi. Sappiamo che non sarà questo il luogo del canto, ma per il momento è tutto ciò che abbiamo.
Finalmente arriva marzo. Nelle uscite precedenti abbiamo già percorso una sessantina di chilometri a piedi e la voglia di fare esperienza cresce. Decidiamo di passare una notte nel bosco. Durante la salita incontriamo una pista fresca lasciata dal gallo cedrone, ma decidiamo di attenerci al programma e montiamo il capanno in un altro punto, scelto sulla base dei dati raccolti l’anno precedente nel periodo post-canto. Notte sprecata, ovviamente, ma è solo la prima di molte. Siamo inesperti e il gallo cedrone è un avversario difficile.
Rientrando, decidiamo di esplorare nei dintorni della pista incontrata la sera prima: troviamo un dormitorio e nuove tracce. Siamo al settimo cielo. Il cedrone ha abbandonato la zona “estiva” e si sta spostando. Decidiamo che sarà questo il punto delle prossime notti. Ma anche qui, dopo pochi giorni, ci accorgiamo che il luogo è stato nuovamente abbandonato.
A metà aprile il GPS segna cento chilometri percorsi a piedi. Le idee, però, sono confuse: siamo ancora in alto mare. In questi mesi mi confronto spesso con un ragazzo che ha già fatto questo tipo di lavoro, e da questo momento i suoi consigli si rivelano preziosi. Di escrementi ne troviamo molti, ma in punti troppo distanti tra loro. Dobbiamo dare una svolta: il tempo stringe. Decidiamo di salire e restare due giorni in quota per setacciare tutta la zona conosciuta. La prima notte nel posto sbagliato. La seconda, pure.
Ogni mattina, all’alba, restiamo in silenzio per ore, nella speranza di sentire un pop. Il canto del gallo cedrone inizia con un calmo e ritmico “tic-ap, tic-ap, tic-ap” e termina con un improvviso “pop”, simile allo stappare di una bottiglia, seguito da una serie di note sibilanti e sussurrate. Ma, nonostante la sua stazza, il canto è debole e difficile da percepire se si è troppo lontani. La verità è che non siamo nella zona giusta.
All’alba del secondo giorno siamo stanchi, delusi e anche un po’ arrabbiati. Decidiamo di tornare dove tutto era cominciato e ricominciare da zero. In realtà in quella zona eravamo già passati più volte, senza risultati. Ma ora la ricerca si fa pianta per pianta. Dopo un po’ troviamo una pista, poi una pianta dormitorio, e infine… lui si invola! È il punto che cercavamo, deve essere quello giusto! Montiamo subito le reti mimetiche e costruiamo un capanno fisso, che useremo all’uscita successiva. Se è davvero il suo territorio, vogliamo che si abitui alla nostra presenza.
Con l’arrivo dell’inverno giungono anche le prime nevicate. La neve è abbondante, forse troppo: ci costringe a due ore di cammino solo per raggiungere la zona di ricerca. E il gallo cedrone? Lui c’è, anche se non si vede e non si sente. Lo testimoniano gli escrementi e le piste, sempre nella stessa area ormai da mesi. Sappiamo che non sarà questo il luogo del canto, ma per il momento è tutto ciò che abbiamo.
Finalmente arriva marzo. Nelle uscite precedenti abbiamo già percorso una sessantina di chilometri a piedi e la voglia di fare esperienza cresce. Decidiamo di passare una notte nel bosco. Durante la salita incontriamo una pista fresca lasciata dal gallo cedrone, ma decidiamo di attenerci al programma e montiamo il capanno in un altro punto, scelto sulla base dei dati raccolti l’anno precedente nel periodo post-canto. Notte sprecata, ovviamente, ma è solo la prima di molte. Siamo inesperti e il gallo cedrone è un avversario difficile.
Rientrando, decidiamo di esplorare nei dintorni della pista incontrata la sera prima: troviamo un dormitorio e nuove tracce. Siamo al settimo cielo. Il cedrone ha abbandonato la zona “estiva” e si sta spostando. Decidiamo che sarà questo il punto delle prossime notti. Ma anche qui, dopo pochi giorni, ci accorgiamo che il luogo è stato nuovamente abbandonato.
A metà aprile il GPS segna cento chilometri percorsi a piedi. Le idee, però, sono confuse: siamo ancora in alto mare. In questi mesi mi confronto spesso con un ragazzo che ha già fatto questo tipo di lavoro, e da questo momento i suoi consigli si rivelano preziosi. Di escrementi ne troviamo molti, ma in punti troppo distanti tra loro. Dobbiamo dare una svolta: il tempo stringe. Decidiamo di salire e restare due giorni in quota per setacciare tutta la zona conosciuta. La prima notte nel posto sbagliato. La seconda, pure.
Ogni mattina, all’alba, restiamo in silenzio per ore, nella speranza di sentire un pop. Il canto del gallo cedrone inizia con un calmo e ritmico “tic-ap, tic-ap, tic-ap” e termina con un improvviso “pop”, simile allo stappare di una bottiglia, seguito da una serie di note sibilanti e sussurrate. Ma, nonostante la sua stazza, il canto è debole e difficile da percepire se si è troppo lontani. La verità è che non siamo nella zona giusta.
All’alba del secondo giorno siamo stanchi, delusi e anche un po’ arrabbiati. Decidiamo di tornare dove tutto era cominciato e ricominciare da zero. In realtà in quella zona eravamo già passati più volte, senza risultati. Ma ora la ricerca si fa pianta per pianta. Dopo un po’ troviamo una pista, poi una pianta dormitorio, e infine… lui si invola! È il punto che cercavamo, deve essere quello giusto! Montiamo subito le reti mimetiche e costruiamo un capanno fisso, che useremo all’uscita successiva. Se è davvero il suo territorio, vogliamo che si abitui alla nostra presenza.
Arriva finalmente il momento della verità. Alle due del mattino lasciamo il parcheggio. La neve si è ritirata e in mezz’ora siamo sul posto. Raggiunta la zona, spegniamo le pile e proseguiamo oltre, per non disturbarlo, sempre che sia lì. Ci cambiamo con maglie asciutte e, una volta pronti, ci muoviamo verso il capanno. Nel buio non è semplice: bisogna fare attenzione, non fare rumore e non perdere tempo. Appena trovato il capanno, entriamo in fretta e ci caliamo nel silenzio più assoluto. Se quella è davvero la zona del canto, non possiamo permetterci di disturbarlo: una fotografia non vale il danno che potremmo arrecare al suo accoppiamento.La notte è umida e fredda, non riesco a dormire. Verso le cinque, quando il gelo si fa più intenso e cerco di rannicchiarmi per scaldarmi un po’, finalmente, in lontananza, sento “tic-ap, tic-ap”. L’avevo immaginato tante volte, al punto da sentirlo anche quando non c’era, ma questa volta è diverso: questa volta è reale. Sveglio Ivan con due colpi sulla spalla: “Zitto, ascolta”. È lui. Non è lontano, anche se ancora non si vede. Dopo poco sentiamo un involo, poi un secondo: atterra a meno di dieci metri da noi. Inizia la danza. Il canto, la parata, i salti… tutto come lo avevamo immaginato, anzi, sognato. Non c’è luce per fotografare, restiamo immobili a osservarlo per qualche minuto. Poi se ne va. Più tardi ritorna e, finalmente, ci concede anche qualche scatto.
Aprile 2014 - Gallo cedrone (maschio)
Aprile 2014 - Io ed Ivan